Se dovessi immaginare metaforicamente il modello di uomo di cui la nostra società va alla ricerca lo assimilerei ad un treno Frecciarossa: splendente nella sua forma aerodinamica; spedito senza  -quasi mai- intoppi verso la sua meta; veloce come nessun’altro. In effetti è palese che il futuristico mito della velocità sia oggi, come mai prima, attuale: la frenesia di fare, di vedere, di farci notare ammorba la società contemporanea e ne succhia via tutte le forze vitali. Ma allora perché continuiamo a correre instancabilmente verso una meta inesistente?

La velocità è attraente: regala razioni di adrenalina che animano le giornate di coloro che ormai ne sono dipendenti. La velocità fa comodo alla sete di guadagno delle grandi società: l’alienazione che essa produce nei dipendenti accresce i fatturati. La velocità non permette di ragionare ma solo di fare, allontana dalla riflessione sopprimendo la possibilità della consapevolezza. Il vero motivo per cui non ci fermiamo è che la società veloce si alimenta della sua stessa incoscienza. Il nostro cervello, bombardato da migliaia di informazioni ogni giorno, non trova mai riposo.  Messaggi vocali di trenta secondi sono troppo lunghi e vanno ascoltati in 2x; Lo stimolo audiovisivo di un film o di una serie tv non basta e sentiamo la necessità di scrollare nel frattempo i feeds delle nostre pagine social. Per trovare sfogo alla nostra fame di velocità non è sufficiente neanche un’informazione per volta.

Quando eravamo bambini vivevamo la noia come parte strutturale della realtà: una categoria dell’esistenza incontrovertibile. Abbiamo dovuto imparare a controllarla e sfruttarla come abbiamo imparato a tenere a bada la paura, l’odio e tutti i sentimenti negativi. Oggi la noia è inconcepibile: ogni momento deve essere riempito di azioni, di emozioni e non siamo più in grado di accettare la presenza della noia nella nostra vita: nessun attimo deve essere lasciato vuoto: una temibilissima forma di horror vacui ci perseguita. Il tempo sembra non essere più sufficiente a fare nulla e mentre ci affanniamo alla ricerca di un tempo che noi stessi mangiamo con la nostra velocità, tutta la vita ci passa davanti senza possibilità di riscattarsi e il tempo all’improvviso ci sembra breve e insufficiente per fare tutto ciò che avremmo voluto. Correre alla velocità della luce ha un costo salatissimo perché paradossalmente più si va veloci e meno tempo ci sembra di avere. In una società così veloce io vorrei ritrovare un tempo della vita lento: concentrato nell’essenza delle cose e soggetto, in alcuni casi, alla noia.

Il filosofo stoico latino Seneca, nelle “Lettere a Lucilio” fa un esortazione al destinatario dell’epistola: “Vindica te tibi” la cui traduzione potrebbe essere: “rivendicati”. Seneca esorta a vivere un tempo della vita consapevole. Questa locuzione viene inoltre interpretata come un invito ad essere padroni e responsabili delle proprie scelte e di non sciogliersi nella moltitudine. Solo la vera consapevolezza del tempo può rendere lunga una vita: fino a che correremo verso mete indefinite anche una vita lunga cento anni sarà breve. Dunque, io accolgo l’esortazione di Seneca e ricerco la bellezza del mondo nella sua calma, osservandola dai finestrini di un lentissimo treno regionale.