Se oggi pensiamo che gli anni sessanta videro esclusivamente “inaugurazioni” per il Belpaese, la storia del Molini&Pastificio Cappelletti S.p.A. è singolare perché contraria: chiuse i battenti proprio durante il boom economico.
Partendo dall’inizio; Colombo Cappelletti -già commerciante di carbone, metalli e cereali assieme a suo fratello- acquisì nei primi anni ’30 un molino a pietra che collocò in una struttura di sua proprietà nei pressi della stazione di Ponterio, dove fece macinare le granelle da lui commerciate. Accertato che la vendita di farina rendesse molto di più del grano (in termini economici), chiamò nel 1934 l’architetto di matrice razionalista Dino Lilli che fece ereggere una struttura adiacente a quella già presente per la molitura, deputata alla pastificazione.
L’industria, concepita come molino-pastificio, durò solo un decennio perché nel ’44 (momento in cui a Todi il conflitto bellico è molto acceso) venne rasa al suolo da un bombardamento degli alleati che, successivamente, si giustificarono dichiarando di aver agito per impedire ai tedeschi di avere approvvigionamenti alimentari.
Cappelletti non demorse e nel 1949 riaprì i battenti assumendo 85 operai (che da li a poco sarebbero diventati 120), con macchinari all’avanguardia e ritmi di produzione considerevoli: quelle che oggi sono le grandi aziende della pastasciutta avevano stabilimenti non maggiori al nostro.
Per anni a seguire nelle vendite ci furono alti e bassi, sicché la società, ormai in grave crisi di liquidità, si trovò costretta a cedere l’intero pacchetto azioni alla banca argentina con sede a Milano «Rio de la Plata».
La banca, che in realtà era italo-argentina in quanto venne fondata da capitalisti Italiani a metà dell’ottocento, non sapeva che farsene di una fabbrica che producesse pasta e farina, decidendo dunque di chiuderla nel settembre 1960.
All’interno dell’amministrazione umbra ci fu molto dissenso, tant’è che 4 parlamentari della regione, rispettivamente Alfio Caponi e Mario Angelucci (Pci), Vittorio Cecati e Dario Valori (Psi) chiesero sostegno al ministro dell’Economia e del Commercio Colombo, che rispose offrendo al molino-pastificio un appalto per la lavorazione di oltre 5000 quintali di grano. La risposta della banca fu secca ed irrevocabile: venne comunque inviato il telegramma di chiusura definitiva. A nulla servì l’occupazione della struttura da parte dei lavoratori.
Lo stesso ministro Colombo si adoperò inserendo 55 ex impiegati nei cantieri approvati in contemporanea dal Ministero del Lavoro per la ricostruzione dell’Istituto Artigianelli Crispolti e per la sistemazione della strada che collega Asproli e Porchiano.
Nel 1986 l’edificio venne acquistato dalla società Spazzoni (realtà tutt’ora attiva che opera nella compravendita di prodotti cerealicoli) e usato non più con per com’era stato concepito ma bensì come magazzino e sede amministrativa, utilizzo attivo tutt’ora e che ne impedisce il totale abbandono.
All’inizio del 2000, il complesso è stato inserito nei programmi di riqualificazione urbana promossi dal
Ministero dei Lavori Pubblici, ma ad oggi non risulta nessun progetto o intenzione alcuna a recuperare uno dei più importanti pezzi di storia contemporanea Tuderte.