Pisa, 23 febbraio 2024, nel pieno della manifestazione studentesca a sostegno della Palestina, decine di giovani volevano entrare nella zona universitaria, presieduta dalle forze dell’ordine perché ritenuta un’area sensibile. Al culmine delle pressioni dei manifestanti, nella via che porta alla piazza, il nucleo di polizia ha “caricato”, ovvero ha avanzato contro il corteo, usando anche i manganelli: questa è una misura convenzionale a protezione dell’area d’interesse. Ciò che però ne è conseguito sono 18 civili feriti di cui più della metà minorenni. Sorvolando sui dettagli dello scontro, quindi sul fatto che ci siano sempre alcuni manifestanti più facinorosi e alcune “mele marce” all’interno delle forze dell’ordine, la questione che voglio analizzare è la partecipazione giovanile, spesso molto appassionata, alle manifestazioni riguardanti temi sociali e politici. Un modo per dar sfogo alla “contestazione dei padri”, fenomeno che è sintomo di buona salute di qualsiasi società democratica.

È qualcosa di ormai conclamato; dal dopo guerra in poi le proteste cittadine hanno visto sempre più ragazzi tra le loro file. Il motivo? Forse, anche se scontato, è il fatto che siano i più preoccupati, se non arrabbiati, per le sorti del loro paese o del pianeta stesso, essendo loro stessi a doversene occupare un giorno, in qualità di futura classe dirigente. Sfogliando le pagine di storia, ecco forse i più celebri casi, a dimostrazione del contributo che la gioventù, studentesca ma non solo, ha dato al cambiamento culturale e politico degli ultimi decenni

Parigi, maggio 1968, per le strade della città centinaia di migliaia di persone sfilano di quartiere in quartiere, gridando, per chi ancora non si era deciso a farlo, di scendere in strada (“Dans la rue! Dans la rue!”); si invoca la pace in Vietnam, la rivoluzione culturale, si sbandiera il libretto rosso di Mao… Tra molotov da una parte e manganelli e gas lacrimogeni dall’altra, i manifestanti erano sempre pronti a dover affrontare le forze dell’ordine che gli sbarravano la strada. Tra questi vi erano intellettuali, operai, lavoratori … ma la fonte inesauribile di braccia e voci che alimentava le marce (nonché gli scontri) veniva dalla gioventù. Studenti universitari e giovani lavoratori diedero il via a questo movimento che si diffuse velocemente in tutta l’Europa occidentale.

In verità, ci fu un tentativo nella parte orientale, precisamente in Cecoslovacchia, nell’estate di quel ’68, quando il popolo scese in piazza contro l’armata rossa, venuta per ristabilire lo status quo mutato dal leader riformista Dubček. Egli dovette abbandonare prima il suo programma di dare al comunismo “un volto umano” – abolendo censura e monopartitismo, la “Primavera di Praga” – e successivamente anche il suo ruolo guida nel partito. Esaurite le forze, le opportunità e le speranze, lo studente di filosofia Jan Palach decise di darsi fuoco, per protestare contro l’occupazione sovietica (atto ripreso negli anni, il più recente caso negli Stati Uniti, dove il soldato venticinquenne Aaron Bushell si è immolato nella stessa maniera per porre fine al massacro dei palestinesi). Questo ci insegna quanto fosse potente il desiderio di pace, di diritti civili, di libertà, capace di superare non solo i confini fra stati, ma persino la Cortina di ferro che ci separava da un mondo totalmente alieno al nostro, e di cui gli stessi cittadini erano stufi.

Piazza Tienanmen, giugno 1989, il popolo vuole una Cina più libera, più trasparente, più democratica. Anche questa volta in prima fila, a rischiare la vita, c’era chi ne aveva di più davanti a sé: i giovani, studenti e no. Faccia a faccia con le canne dei fucili, impavidi portatori di sogni, tipici di un’età che non ti ha ancora insegnato a rassegnarti e a smettere di sperare. Iconica, a tal proposito, la fotografia che raffigura uno studente ignoto che, da solo – e questo è forse uno dei più grandi atti di coraggio della storia recente – sbarra la strada a un carro armato, poco prima che l’esercito spari sulla folla.

Genova, luglio 2001, prendeva luogo il summit del G8 volto a discutere le politiche economiche internazionali, che avrebbero promosso il già maturo fenomeno della globalizzazione. A subire le conseguenze negative di questo nuovo assetto mondiale, oggi come allora, erano i poveri, intesi sia come i paesi del terzo mondo, sia come i cittadini svantaggiati degli stessi paesi del G8. A seguire, l’ambiente, allora ancor più trascurato; chi protestava contro certe decisioni, che abbia avuto 20 o 60 anni, lo faceva guardando al futuro, che sia il proprio o quello dei propri figli e nipoti. Anche in quell’occasione, tragicamente, i vis à vis con i presìdi delle forze dell’ordine si sono surriscaldati, portando a scontri violenti; tali sommosse hanno creato panico e secretato adrenalina, portando i gruppi coinvolti a perdere il controllo della situazione, e il ventitreenne Carlo Giuliani, a perdere la vita. Questa vicenda, per dirla tutta, ha allarmato l’attenzione internazionale, poiché in alcuni casi, i nuclei difensivi schierati sono stati accusati di violazione di diritti civili, per detenzioni arbitrarie e uso sproporzionato della forza.

Quello dei “giovani manifestanti” non è di certo un fenomeno nuovo. Si sa, ormai, che è tipico di chi ha una tenera età (specialmente nell’adolescenza) il voler finalmente affermare la propria voce, far valere la propria opinione, sia pure strillando e bloccando la città. Si sa, ormai, che in gioventù si è increduli di fronte ai mali che il mondo degli adulti consente, o comunque, combatte fiaccamente, perché disilluso e abituato. Si sa, ormai, che i giovani sono spesso i primi a scendere in campo quando la situazione lo richiede, lo abbiamo visto in Toscana ed Emilia-Romagna dopo le inondazioni, e lo continueremo a vedere sempre, in tutto il mondo, ogni volta che chi decide del futuro dell’umanità non ascolta le idee di chi, quel futuro, lo erediterà.