Chi svolge il mestiere di giornalista, specialmente all’inizio, è portato a cercare e scrivere notizie che siano il più stuzzicanti possibili per chi legge. Notizie che possano sorprendere il lettore, interessarlo e soprattutto non farlo fuggire alla ricerca di un’altra notizia. Allo stesso modo, quando si deve pensare a qualcuno da intervistare, il pensiero va alla ricerca di persone che possano raccontare eventi straordinari, cose mai rivelate prima o comunque testimonianze uniche. Il problema è che per far questo si cade spesso nel tranello per cui solo un qualcuno di “speciale” possa raccontare qualcosa di “speciale”. Invece, in questo – e mi auguro nei futuri articoli di questa nuova rubrica – porrò domande a persone comuni, quelle intorno a me, con la consapevolezza che loro possano regalare una testimonianza di vita unica come potrebbe fare chi è ben più celebre di loro. Persone che fanno parte della mia vita quotidiana e che con queste interviste potrò conoscere meglio io stesso.

Inizierò dalla persona a me più vicina: mia madre, una professoressa.

· Una breve presentazione?

Sono Paola Rondolini e sono stata per circa 40 anni un’ insegnante di storia dell’arte e disegno, fino al mio pensionamento, nel 2021.

· Quando nasce la passione per l’insegnamento?

Amavo insegnare sin da quando ero bambina e, crescendo, sono riuscita a insegnare, dando tutto quello che potevo fino all’ultimo giorno dietro la cattedra. Non ho mai guardato la bravura ma i progressi di chi istruivo. I miei allievi non sono mai stati solo dei numeri. Magari “penalizzavo” un ragazzo che aveva grandi possibilità e non aveva voglia di impegnarsi e premiavo chi, non avendo potenzialità pari per i motivi più svariati, si impegnava seriamente.

· Come pensi ti vedevano i tuoi studenti?

Inizialmente ero molto dura e questo lasciava perplesso soprattutto chi mi aveva al primo anno, ma poi emergeva sempre il mio lato ironico e posso dire che tanti studenti, soprattutto tra chi mi ha avuto più a lungo, hanno un buon ricordo di me. Da parte mia posso solo dire che mi hanno dato tantissimo, molti amandomi e altrettanto odiandomi. Mi manca quel periodo della mia vita. E se sono andata in pensione non è certo per gli studenti quanto per i colleghi giovani, che ho trovato troppe volte arroganti e poco educati. 

· Hai mai notato un cambiamento dei tuoi studenti negli anni? 

Più che nei ragazzi ho notato un cambiamento nel ruolo dei genitori, che di conseguenza si riflette nei comportamenti tenuti dagli studenti in classe. Quando ero ragazzina, se il nostro comportamento e rendimento a scuola erano pessimi, i genitori lasciavano prendere provvedimenti al professore, mentre ora, specialmente in alcuni casi, si è raggiunta una iperprotettività tale che non è possibile neppure mettere una nota. 

· Come sono cambiati più i ragazzi e il modo di insegnare con le nuove tecnologie?

L’informatica e tutte le nuove tecnologie, tra cui i social, sono state grandi innovazioni estremamente utili, ma se usate nel modo corretto. Infatti negli ultimi anni ho notato molti casi di ragazzi che non colloquiavano più e si chiudevano in un mondo digitale, riducendo le splendide esperienze di dialogo che si possono avere con i compagni a pochi messaggi in una chat. Bisogna evitare casi di dipendenza e per fare ciò credo ci sia bisogno di moderazione nell’uso dei cellulari. 

Nel mio piccolo durante la mia lezione li facevo consegnare e li riprendevano a fine della lezione, usando però la LIM come strumento interattivo per interessare maggiormente i miei alunni.

· Come provavi a far interessare i ragazzi alla storia dell’arte nelle tue lezioni?

Principalmente attraverso il disegno. Per farli appassionare li portavo a vedere arte moderna, a volte presentandogli delle opere attraverso il disegno. Ad esempio ai ragazzi del primo facevo riprodurre la venere di Willendorf in bianco e nero inscritta in un rettangolo, poi produrre diverse soluzioni a colori con le vari tecniche e infine scomporre in modo astratto. Lì spesso non  riuscivano a capire da dove cominciare, poiché non sapevano le storie che ci sono dietro i tagli oppure le macchie degli artisti dell’arte contemporanea. Ho organizzato nel mio percorso molti progetti: il più bello per me rimane quello con l’artista Brian O’Dohrtey, l’artista della Casa Dipinta, che dal 2012 è venuto nella mia scuola ogni anno e ogni classe seconda ha fatto un lavoro diverso per lui. È un ricordo che mi tengo stretto nel mio cuore per le belle emozioni che questo artista, da poco venuto a mancare, mi ha dato e ha dato a chi ha potuto vivere il progetto. 

· Qual è stata la più grande soddisfazione avuta con uno o più studenti?

È difficile rispondere immediatamente perché ho avuto veramente tanti studenti. A noi insegnanti capita di incontrare alcuni di loro, come uno studente che è venuto da me per un tirocinio o una ragazza che, durante un mio periodo di convalescenza in ospedale, mi ha riconosciuto dopo anni che non ci vedevamo.

Forse il piacere più grande l’ho ricevuto da 4 ragazzi portatori di handicap della scuola di Deruta, a cui avevo fatto il sostegno, che mi sono venuti a trovare al liceo di Todi dove mi ero trasferita. Vederli fare questo gesto è stato motivo di enorme soddisfazione e mi ha dato la forza per andare avanti nel mio lavoro.