Tutti conoscono Xi Jingping e Mao Zedong. Qualcuno Sun Tze e Deng Xiaoping, ma nessuno Wang Huning: la vera mente (tra le tante) nell’ombra. Un nuovo modo di e per guardare Pechino.

Wang Huning membro del Politburo solo dal 2017, considerato l’artefice vero della Cina degli ultimi 30 anni è sconosciuto ai più. Il suo saggio del 1988, prima del viaggio negli USA, dal titolo “La struttura della Cultura Politica cambiante cinese” espone la comparazione tra la scienza e filosofia politiche occidentali e la storia del pensiero politico cinese. Nel libro afferma che la coscienza collettiva occidentale è incentrata sulla regolamentazione esterna, vale a dire azione regolamentata attraverso sistemi legali, politici, relazioni di potere etc. utili al raggiungimento di determinati obiettivi sia politici che sociali. In Cina invece accade il contrario. Tale regolamentazione sparisce per lasciare spazio a valori come la lealtà, la pietà filiale, il perdono…i quali hanno come fine ultimo quello di unire il cielo e l’uomo (secondo il pensiero confuciano) per renderlo saggio dentro e leader di fuori. Il risultato? Il leader e il popolo sono visti distintamente ma il sistema di valori non è cambiato. Di conseguenza, Wang che dopo il viaggio negli Stati Uniti era rimasto deluso dall’estremo nichilismo della società americana e dalla mercantilizzazione progressiva del tutto, a suo dire –punto di forza e di proiezione USA nel mondo– decide in netta controtendenza con il riformismo di Deng Xiaoping (anni ’80) del quale preconizzava il vuoto ideologico sulla evidente prosperità e benessere materiali che avrebbero potuto portare ad un progressivo allontanamento e sfiducia dei cittadini cinesi dalle istituzioni, di sventolare un nazionalismo unificatore per il quale il partito unico avrebbe funzionato da garante di tutti i cinesi. Per lui il sistema e l’economia sono importanti tanto quanto l’ethos (ossia insieme di valori) di un popolo; concetto che rompe definitivamente con il materialismo marxista ortodosso. La stessa Rivoluzione Culturale (1966-1976) a suo parere fu un male necessario, conseguenza dell’incapacità del marxismo di adattarsi alla Cina dell’epoca. Dopo un decennio di trasformazioni dove il materiale aveva prevalso sullo spirituale-ideologico era giunta l’ora di dotarsi di un’ideologia e modello statale dai quali attingere: fu così che nel biennio ’91-’93 in concomitanza all’uscita del libro “Stati Uniti vs. Stati Uniti” e l’incontro con Jiang Zemin, allora presidente della RPC, dove (cito testualmente) –il modello civilizzatore occidentale può trarre la prosperità materiale ma non per forza migliora altrettanto la natura umana– la Cina incominciò a far propri i cinque pilastri del pensiero di Huning: socialismo marxista, legalismo (attraverso la filosofia cinese), valori tradizionali confuciani, idee massimaliste occidentali sul controllo e il potere dello stato e il nazionalismo cinese per diventare quello che attualmente sembra essere -a loro dire- socialismo con caratteristiche cinesi.

Di Wang Huning si sa molto poco. Dicono lavori alacremente, quasi sia patologicamente ossessionato, e che conduca una vita al di fuori dai riflettori perlomeno ufficiali. Forse però è proprio così che i grandi maestri agiscono, chi lo sa!