Nella penisola dove il seme della cultura venne annaffiato e accudito, per poi sbocciare in insegnamento per tutto il mondo, fra le verdi vallate, le docili cime e dipinti di borghi senza tempo, collocata al suo centro geografico, si estende un territorio fatto di storie ed eccellenze. Autentico nella tradizione, a tratti mistico, dove la sua popolazione antica trovò l’abbraccio imperiale di Roma, per poi continuare a progredire dopo di essa, tra feudi influenti e casate di commercianti. Dove nell’attuale era moderna la manifattura straordinaria dei capi di abbigliamento si mescola a quella dei confetti e del cioccolato, dove un vaso non è semplice terracotta, ma dipinta da artisti diviene ceramica. Dove il colore rosso non viene associato ai rubini ma al vino e alle terre del Sagrantino, dove anche i santi non sono semplici figure retoriche, perché tra Francesco e Valentino di più noto c’è solo Gesù Cristo. Un territorio dove pittori ed architetti, poeti e frati, hanno dato origine ad opere di ingegno e vanto. Un territorio che va protetto, nel quale i tempi frenetici globalisti rischiano di lasciare in eredità ai suoi abitanti l’esodo lavorativo. Perché questo sta accadendo nel 2023. Dove il prodotto artigianale viene subissato da quello d’importazione, e le botteghe e le attività locali chiudono i battenti in quanto non concorrenziali alle catene di distribuzione. Dove troppo spesso, l’imprenditore che ha creato, non ha poi trovato un ereditiere in grado di stare al passo coi tempi, oppure i tempi, sono stati fin troppo ingrati con coloro che facevano della qualità e della risolutezza la propria carta vincente. Eppure ci son partiti dall’America per scrivere di Narnia, per poi dare ad Hollywood l’ennesimo record di incassi. Eppure lavorando fuori, l’Umbria è tutto ciò che mi manca. Per aspera ad astra, mediante le asperità giungeremo alle stelle. Così fu scritto (in forma ridotta) da Jacopo Andrea Fagioli.