Il teatro di Fo e di Rame è unico nella sua struttura: d’avanguardia e lontano dagli schemi del teatro tradizionale.

Da ricordare è sicuramente il genio di Peter Brook, scomparso recentemente, secondo il quale il teatro scaturisce dall’incontro tra palco e platea: l’arte di Fo concorderebbe con quella di Brook presentando un tipo di teatro fluido e dinamico, in continua trasformazione. Non è casuale, tuttavia, che i testi di Fo e Rame vengano sottoposti a numerose riscritture in base al contesto della rappresentazione scenica. 

É il 1969 quando Dario Fo compone il testo Mistero Buffo, noto per aver inaugurato una nuova modalità di linguaggio, chiamata grammelot. Si tratta di una forma linguistica atipica che prevede l’assenza di strutture grammaticali e sintattiche prediligendo, invece, l’uso di onomatopee e di metafore. Tali espedienti rendono il linguaggio di Fo immaginoso, così descritto dal traduttore Bent Holm.

Con quest’aggettivo, si indicherebbe il carattere bizzarro, allusivo e grottesco dei testi di Fo pieni di una forte carica espressiva.

Non bisogna, inoltre, tralasciare la gestualità e le espressioni facciali tipiche della sua recitazione. I movimenti sulla scena, infatti, hanno un forte impatto sul pubblico permettendo una rapida comprensione dell’azione rispetto alla singola parola. 

Il suo modo di esprimersi, ricorda Fo, “rappresenta il polo opposto rispetto al linguaggio rigido del potere” e questo stile è un’evidente critica alla società ed alla politica che costituisce un elemento fondante dell’opera nei testi dei due drammaturghi. Un lessico scomposto, “agrammaticale” ed asemantico non può che contrapporsi idealmente ad uno schema fisso e rigoroso come quello della politica.  Per marcare la forte contrapposizione con il potere, è di notevole importanza anche l’utilizzo del dialetto, concepita come una contro-lingua, assai presente nei monologhi e, successivamente, nelle commedie.

Nonostante la presenza del dialetto possa sembrare un ostacolo per la comprensione, esso concorre ad incrementare la carica ironica dei testi di Fo ed a creare una non poca empatia col pubblico. 

Non è casuale, infatti, che i testi di Fo e Rame vengano sottoposti a numerose riscritture in base al contesto della rappresentazione scenica per porsi, quasi necessariamente, più vicini alla platea. Ciò accade attraverso la spiegazione che precede lo spettacolo teatrale, chiamata antiprologo: si tratta della fase di accoglienza del pubblico in cui si spiegano le ragioni della rappresentazione. Fondamentale è il ruolo svolto dal prologo che fornisce all’uditorio le parole chiave dell’opera.  Con questi espedienti viene meno la distanza palco-platea, ovvero si verifica la rottura della quarta parete facilitando la comunicazione ed interazione con il pubblico.

Potremmo chiederci da chi fosse composto il pubblico degli spettacoli Fo-Rame.
La loro platea era costituita da gente comune e, come ricorda Franca Rame in un’intervista, talvolta da soli contadini.
Le tematiche, dunque, dovevano essere vicine al popolo affinché quest’ultimo, sentendosi parte integrante dello spettacolo, potesse percepire una forte simpatia(nell’accezione greca del termine,ovvero “partecipazione al sentimento”) con gli attori in scena.